Adnkronos – Al mattino per colazione, nella pausa pranzo, oppure il pomeriggio come occasione di convivialità, ma anche dopo cena, per rilassarsi e fare ancora due chiacchiere. La tazzina di caffè servita al bar è il rito italiano più diffuso nel mondo, un’abitudine che è talmente parte integrante della nostra cultura che senza accorgercene ha superato il secolo di età e oggi compie i 110 anni. La macchina per l’espresso, ossia la possibilità di servire su richiesta del cliente la bevanda preparata al momento, fu un’invenzione rivoluzionaria che permise di sfruttare al massimo le qualità organolettiche dei chicchi di caffè appena macinati e di esaltarne il gusto degli oli e delle fragranze estratte. Correva l’anno 1901 quando l’ingegnere Luigi Bezzera di Milano depose il brevetto del primo modello di macchina per caffè da bar in Italia. Si trattava di una versione a colonna, monumentale, destinata a diventare per molto tempo un riferimento obbligato da parte delle diverse case costruttrici. Anche in precedenza c’era l’usanza di consumare caffè nei locali pubblici, ma ciò che distingueva una caffettiera domestica da una per bar era sostanzialmente il solo fattore dimensionale. L’idea di progettare un meccanismo a vapore per preparare la bevanda ha seguito quel processo di meccanizzazione che ha caratterizzato la storia del progetto industriale, a partire dall’ottocento e che ha segnato profondi cambiamenti nella produzione di serie, oltre che negli usi e costumi delle persone. Se già nella seconda metà dell’ottocento si erano pensati, progettati e rielaborati la lavatrice, la lavastoviglie, l’aspirapolvere e molto altro ancora per migliorare la qualità della vita domestica, è facile immaginare come anche nel settore della ristorazione e, nello specifico del caffè si cercasse di ottimizzare la preparazione di questa bevanda ed il suo consumo attraverso l’impiego di adeguati strumenti. In Francia, ad esempio, Eduard Loysel de la Lantais studiava un modello non solo per un consumo domestico, ma anche per locali pubblici, attraverso un sistema che consentiva la preparazione in poco tempo di numerose tazze di bevanda. Si trattava di apparecchiature colossali e costruite in pochi esemplari, ancora lontane da quei modelli che avrebbero reso la produzione italiana del settore famosa in tutto il mondo. In effetti, il primo modello studiato in Italia, commercializzato poco tempo dopo il deposito del brevetto, ha costituito un grande cambiamento.
L’ingegnere Bezzera infatti inventò non solo il meccanismo della macchina, ma anche la carrozzeria del modello cosiddetto a colonna, realizzato in rame e in ottone e con forma cilindrica. Il mero lato tecnico doveva convivere con un’estetica accattivante legata a ragioni di funzionalità d’uso e di arredo, trattandosi di un oggetto dalla presenza incombente, catalizzatore dell’interesse degli avventori. Per ragioni funzionali, avendo la caldaia uno sviluppo verticale, è evidente che la forma a colonna risultasse la soluzione più logica alla costruzione della carrozzeria della macchina espresso e l’eleganza del volume così realizzato, arricchito da materiali lucenti e decorazioni di rilievo fece sì che si imponesse sui banconi dei bar. Dopo l’esperienza iniziale di Bezzera, sulla scia di questa invenzione a dir poco epocale, sorgono altre aziende destinate ad ottenere negli anni ampi consensi anche grazie a soluzioni tecniche tali da garantire un’ottimizzazione della preparazione della bevanda. Tra i primi ad avviare questo fenomeno bisogna citare la Victoria Arduino fondata dal torinese Pier Teresio Arduino, artefice di alcuni perfezionamenti tecnici e, soprattutto, di un’invidiabile organizzazione commerciale che ha capillarmente diffuso le macchine nei caffè di tutto il mondo. Da un punto di vista meramente formale non possiamo tuttavia parlare di una vera e propria evoluzione, nel senso che il modello a colonna perdurerà, pur con piccole variazioni, per quasi cinquant’anni. Ciò che è importante mettere in risalto è l’eleganza di tali apparecchi soprattutto tenuto conto che la loro destinazione finale era comunque in ambienti pubblici di un certo decoro. Per questo, a partire dai primissimi modelli che risentono in certa misura delle influenze Art Nouveau che pure giungono “alleggerite” in Italia dai paesi d’oltralpe dove hanno riscosso ampi consensi, si passa nel corso degli anni a forme “Déco” per seguire quell’evoluzione stilistica che ha progressivamente influenzato ogni settore creativo. Quindi la colonna si arricchisce prima di elementi fIoreali nelle decorazioni, di smalti e bronzi opera di sapienti artigiani, per passare ad elementi più geometrici, stilizzati, al passo coi cambiamenti del gusto. Il periodo autarchico ha dato il suo contributo fornendo spunti agli ideatori che coniugavano elementi razionalisti (senza peraltro mai eccedere) a decori del codificato ambito progettuale fascista. Trascurando l’estetica di tali modelli, pur con le dovute migliorie del caso, la preparazione del caffè utilizzando questi macchinari a vapore non garantiva sempre ottimi risultati poiché spesso risultava troppo amaro. Alla fine degli anni quaranta si risolverà il problema con un cambiamento importante: il funzionamento a vapore verrà sostituito dal funzionamento a pistone. L’invenzione è fondamentale perché i nuovi modelli funzionano con esclusione totale del vapore e preparano un infuso unicamente di polvere di caffè e di acqua bollente, permettendo di ottenere una vera e propria “crema caffè”, più aromatica, più sostanziosa e più densa dei normali espresso. Si tratta, in pratica, pur con le differenze del caso, di una sorta di napoletana “meccanizzata”, ben lontana, per qualità di bevanda, dai modelli con funzionamento a vapore. Tra le case più conosciute che utilizzano tale sistema, la Gaggia modello Classica 1948.
Sulla scia di queste innovazioni tecniche e stilistiche nascono e si sviluppano molte aziende produttrici meno conosciute, ma non per questo meno interessanti della più famosa Bezzera: La Pavoni, Victoria Arduino, La Cimbali, La San Marco, Universal, Faema e Gaggia. Sono decine e decine ed hanno prodotto modelli significativi soprattutto sotto il profilo stilistico, proponendo al pubblico linee al passo con le tendenze del gusto. Lo stream line d’importazione americana, che ha coinvolto i settori più vari della produzione con particolari accenti in quello automobilistico ed in quello degli elettrodomestici (dal frullatore al frigorifero), ha influenzato anche il mondo della preparazione del caffè suggerendo forme sinuose ed avvolgenti, carter paragonabili a particolari d’auto o a jukebox, non in stretta connessione con specifiche necessità d’uso. In qualche modo è la spettacolarità dell’oggetto in sé ad avere la meglio sui contenuti tecnici dei prodotti e ciò è abbondantemente testimoniato dalla ricchezza di proposte offerte coi più vari effetti decorativi di sicuro impatto sul pubblico. Del resto il caffè era ed è il prodotto più richiesto nei bar e la macchina che ne permette la preparazione deve avere un aspetto conseguente. Tra la fine degli anni Quaranta ed i primi anni Cinquanta, le necessità pratiche e le ragioni di un mutato panorama progettuale in ogni settore della produzione industriale spingono le aziende di macchine espresso ad orientarsi verso una produzione sempre più industriale, di numeri maggiori, per un pubblico sempre più vasto. Il rito quotidiano del caffè è tipico di ogni italiano (e non solo) e viene consumato da un numero sempre crescente di clienti nei bar. Le necessità di orientarsi verso le grandi serie e la voglia di cambiare e sperimentare, in un momento così fortemente creativo, dopo i pesanti anni delle seconda guerra mondiale, inducono i produttori a rivolgersi ad architetti e designer per studiare prodotti mirati in linea con le mutate esigenze. Il dopoguerra ha visto alcuni tra i capolavori indiscussi del design italiano: dalla Vespa alla Lambretta, dalle sperimentazioni con la gommapiuma di Marco Zanuso per la Arflex, all’avvento delle materie plastiche ed alla nascita di Kartell. Anche nel settore delle macchine da caffè assistiamo, grazie all’intraprendenza della Pavoni, all’ingresso di Gio Ponti, una delle figure chiave nel panorama della progettazione (dall’architetturattura, al design, all’arredamento) del Novecento. Proprio con Gio Ponti assistiamo ad un cambiamento fondamentale nella storia delle macchine espresso: dopo quasi cinquant’anni dalla sua nascita, la macchina cambia aspetto radicalmente. Per la Pavoni si tratta della prima macchina dotata di caldaia orizzontale che va sostituire quella a sviluppo verticale dei modelli precedenti. Con questo modello, l’architetto non si limita a disegnare un’elegante carrozzeria, ma vuole mettere chiaramente in evidenza le funzioni di ogni parte della macchina, enfatizzando le componenti, ed avvalendosi di elementi “aerodinamici” atti ad accogliere con tali linee avvolgenti, i gruppi d’ erogazione. Questo modello, autentico monumento al caffè espresso, rappresenta a tutt’oggi uno dei pezzi di più difficile reperibilità e di maggior pregio, proprio per l’epocale cambiamento estetico introdotto nel settore.