Interviste ad Emilia-Liana Falcone e Marina Boulos-Winton
In occasione della Giornata internazionale della donna (8 marzo), il Congresso Nazionale degli Italo-Canadesi, in collaborazione con la Cassa Popolare Italo-Canadese Desjardins, presenta, per domenica 6 marzo alle ore 16:00, la conferenza online interattiva “La Nouvelle Réalité” che vedrà protagoniste due donne straordinarie, la dott.ssa Emilia-Liana Falcone e Marina Boulos-Winton, direttrice di “Chez Doris”. Il Corriere Italiano le ha intervistate.
Per assistere alla conferenza online è necessario prenotarsi al seguente indirizzo: https://www.eventbrite.ca/e/inscription-la-nouvelle-realite-conference-virtuelle-261892847557. Per informazioni: CNIC: 514-279-6357.
Emilia-Liana Falcone: combattere i pregiudizi, affrontare le sfide della vita
Direttrice della clinica di ricerca IRCM Post-COVID-19 (IPCO), direttrice dell’unità di ricerca sul microbioma e sulla difesa della mucosa presso l’IRCM, assistente clinica presso il Dipartimento di Medicina dell’Università di Montréal, specialista in malattie infettive presso lo CHUM e titolare di una cattedra di ricerca canadese sul ruolo del microbioma nell’immunodeficienza primaria, la Dott.ssa Falcone è nata a Montréal da madre d’origine campana e padre d’origine calabrese.
Cosa rappresenta per lei questo appuntamento e cosa dirà alla conferenza?
«La Giornata – spiega – rappresenta il momento per riconoscere i vari aspetti e ruoli che ricopriamo nella società in quanto donne, ruoli quantomeno specifici e particolari, e soprattutto la forza necessaria per gestire tali ruoli. Ma è anche un momento per riconoscere tutte quelle persone, soprattutto donne ma non solo, che ci hanno sostenuto e aiutato durante il nostro cammino per arrivare ad essere quello che siamo.
Durante la conferenza, parlerò del mio percorso professionale nel quadro del mio vissuto personale, in quanto donna italo-canadese, mettendo particolarmente l’accento sulle sfide che si presentano davanti a noi nel settore della scienza e della medicina, sottolineando allo stesso tempo il ruolo che certe persone chiave hanno avuto nel sostenere tale percorso.
Una persona chiave per me è mia madre Benedetta. Lei stessa ha vissuto delle sfide professionali importanti ed è stata, e lo è tuttora, un esempio da seguire. Vengo da una famiglia in cui non c’è nessuno che ha lavorato o lavora nel campo delle scienze ma discendo da una linea di donne forti: mia madre, mia nonna e la mia bisnonna che si chiamava Rosa Fuoco, un nome che dice tutto su chi era: forte, frizzante, che non aveva timore ad affrontare a testa alta le sfide della vita che raccoglieva con grazia e perseveranza».
In quanto donna, e donna d’origine italo-canadese, ha incontrato degli ostacoli durante il suo percorso professionale?
«Mi sono imbattuta in certi pregiudizi, in certe prese di posizione basate su diversi fattori. Spesso è stato necessario lavorare forte per eliminare queste percezioni e per fare in modo che queste persone arrivassero ad avere una maggiore apertura di spirito. Ma sono riuscita a demistificare tali pregiudizi, a chiarirli, fa parte delle “sfide” da affontare. Tutto ciò fa in modo che si debba essere più perseveranti, che sia necessario lavorare ancora più forte per raggiungere la meta».
Medico, ricercatrice, docente universitaria, moglie, madre, come concilia tutti questi ruoli?
«In quanto tale, partecipo a tutte le attività che si fanno in genere in questi casi con le responsabilità che sono connesse. La vera sfida è cercare di fare bene in tutte queste cose, bisogna giostrare con tutte queste realtà. Ma in quanto donne non dovremmo essere tenute a scegliere tra una cosa o l’altra, dovremmo poter essere mogli, madri e allo stesso tempo portare avanti la nostra carriera. È necessario avere equilibrio e sostegno, per questo sono estremamente riconoscente alla mia famiglia, a mia madre: è grazie alla sua presenza che posso fare delle cose in più».
Il titolo della conferenza è: “La Nouvelle Réalité”. Cosa ci può dire in merito?
«Ne abbiamo una nuova di “réalité” a causa della pandemia che ha generato per molti di noi dei grandi cambiamenti a tutti i livelli, tanto professionali che familiari, imponendo nuovi equilibri, nuovi modi di fare. In questo contesto anche il ruolo della donna in seno alla società è in evoluzione, dobbiamo sostenerlo e spesso bisogna trovare dei modi “creativi” per farlo ma non si dovrebbe mai essere chiamati a fare una scelta tra famiglia e professione ma piuttosto trovare il modo migliore per realizzare i nostri sogni».
Marina Boulos-Winton: inclusione, dignità e rispetto per una società più giusta
Marina Boulos-Winton, nata a Montréal da madre d’origine livornese e padre d’origine russo-libanese, dirige dal 2015 Chez Doris, un centro di accoglienza per donne vulnerabili e senzatetto e sarà l’altra protagonista della conferenza online del 6 marzo alle ore 16:00.
Fondato nel 1976, “Chez Doris” è un rifugio di giorno che offre un ventaglio di servizi e programmi per rispondere ai bisogni più elementari e immediati delle donne vulnerabili e in situazione di itineranza.
Cosa significa per lei questa Giornata e cosa dirà alla conferenza online?
«Vorrei – risponde Marina – che fosse un giorno in cui si potesse dire che tutti gli esseri umani sono uguali, un giorno in cui affermare che il mondo è libero da ogni discriminazione e che tutti vengono trattati in modo equo ed inclusivo. Nel frattempo parlerò di quello che facciamo “Chez Doris”, un organismo che viene in aiuto a tutte le donne che si trovano in difficoltà sia economiche che sociali, familiari, sanitarie.
Doris Halfkenny Seale, conosciuta anche con il nome di Doris Toussaint, era una donna di Halifax trasferitasi a Montréal per fuggire da un marito violento. Viveva in strada, senza risorse. Cercava un posto dove potersi rifugiare per vivere al riparo da sguardi indiscreti. Fu uccisa nel 1974. Negli anni ‘70 – continua Marina – esistevano pochisime risorse per donne e nessun servizio di giorno. “Chez Doris” è nato ispirandosi alla sua figura e allora era il solo rifugio di giorno per donne a Montréal. Oggi il Centro di giorno è aperto dalle 08:30 alle 21:30. Dal dicembre del 2020, a causa della pandemia e del moltiplicarsi dei casi di itineranza tra le donne, forniamo un servizio 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Quello dell’itineranza femminile – spiega la direttrice – è un problema che si è ampliato molto negli ultimi tempi. Ci adoperiamo affinché le vittime di questa situazione possano trovare un posto dove poter vivere dignitosamente. Trovare un appartamento significa anche ridurre il numero di bambini che vengono separati dalle loro madri o dalla loro famiglia per essere posti sotto la tutela della “Direction de la protection de la jeunesse” (DPJ). In meno di un anno e mezzo siamo riusciti a sistemare in appartamento 125 donne e 74 bambini, donne sottrattesi alla violenza e incapaci di pagare l’affitto perché prive di risorse economiche. Ma in attesa di trovar loro un appartamento le ospitiamo in un hotel. Prima della pandemia le donne itineranti costituivano il 20-25% della nostra clientela. Ora rappresentano il 60% della nostra clientela.
Un altro problema che si è aggravo a causa della pandemia – aggiunge – è quello della salute mentale. Una persona che soffre di problemi di questo tipo finisce per non essere più autonoma. Può diventare pericolosa per la famiglia e i conoscenti, finisce per perdere i contatti con la sua rete familiare, spesso si ritrova da sola o in strada ed inevitabilmente si rivolge ad un organismo come il nostro. Le donne che vengono da noi sono di diverse etnie. Spesso si vergognano della loro situazione, soprattutto nei confronti del loro entourage».
Quante sono le donne che ricorrono al vostro Centro?
«In media – precisa la direttrice – circa 1500 all’anno. Con la pandemia sono diventate di più, circa 1800. Di queste, tra il 20 e il 25% ci contattano per la prima volta».
Che età hanno e cosa offrite loro?
«L’età media – afferma – è di 58 anni ma le donne itineranti hanno un’età molto più bassa, tra i 18 e i 34 anni. All’inizio delle pandemia abbiamo avuto anche diverse donne dell’ “age d’or”. Alcune di loro non volevano più rimanere nei Centri per persone anziane perché avevano paura di morire a causa dei contagi di Covid-19 ma non sapevano dove andare. Prima della pandemia accoglievamo circa 90 donne al giorno, ora non possiamo accettarne più di 35-40. Spesso alle 10 del mattino abbiamo già raggiunto questa quota. Alle donne che si rivolgono a “Chez Doris” offriamo dei pasti, un po’ di riposo e di conforto, delle attività sociali e ricreative in un ambiente sicuro e accogliente».
Come si finanzia il Centro?
«Il 30% viene dal Governo, il resto da doni privati. Per questo abbiamo bisogno che più donne si impegnino per la causa. Sono 30 anni che lavoro nel campo della filantropia e per me è un onore e un privilegio fare il mestiere che faccio. Lavorare “Chez Doris” significa fare la differenza nella vita di tante persone e nella società. Per tali motivi invito tutte le donne che lo desiderano ad aiutarci, ad impegnarsi nei consigli d’amministrazione di organismi come il nostro, ad impegnarsi nelle raccolte fondi perché i bisogno sono immensi. Abbiamo tanti progetti in cantiere, come quello di aprire due residenze per un totale di 46 appartamenti per le donne che vivono al di sotto della soglia della povertà. Ma per fare questo abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti. Questa è anche la “Nouvelle Réalité” della nostra società».
Chez Doris – 1430, rue Chomedey, Montréal
Tel. 514-937-2341, comporre lo 0 o l’interno 222
https://www.chezdoris.org/ – info@chezdoris.org