I valori della solidarietà, della fiducia, della condivisione
Il 20 e 21 agosto scorsi si è tenuto a Montréal il XXI Congresso Intersezionale del Nord America che ha visto riuniti un centinaio di alpini provenienti dal Canada, dagli Stati Uniti e dall’Italia, un’occasione per ritrovarsi e per discutere dei problemi e del futuro delle varie sezioni che compongono il grande mosaico dell’Associazione Nazionale Alpini (ANA).
All’importante raduno, organizzato dalla Sezione Alpini di Montréal, formata dal Gruppo Alpini di Montréal e dal Gruppo Alpini di Laval, erano presenti anche il Presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, l’ing. Sebastiano Favero, e il vicepresidente, responsabile dei rapporti con le sezioni estere, Gian Mario Gervasoni.
Il Corriere Italiano ha avuto il piacere di incontrarli a margine della messa solenne celebrata il 21 agosto da Padre Pierangelo Paternieri nella Chiesa Madonna di Pompei, seguita dalla cerimonia di deposizione di una corona ai piedi del monumento degli Alpini, posto a fianco della chiesa, in memoria dei caduti di tutte le guerre. All’evento ha presenziato e portato il suo saluto la Console Generale d’Italia a Montréal Silvia Costantini.
«Purtroppo negli ultimi due anni – ha esordito Gian Mario Gervasoni – siamo stati un po’ fermi a causa della pandemia. In genere ogni due anni visitiamo le varie sezioni sparse per il mondo. Naturalmente portiamo loro il saluto dell’Italia e verifichiamo se ci sono dei problemi per discuterne e risolverli. I “nostri” Alpini all’estero ci vedono sempre molto volentieri e noi ci emozioniamo ogni volta anche perché trovare questa gente che ha un amore così grande per l’Italia è davvero commovente. Forse – aggiunge Gervasoni – ne ha un po’ più di noi che viviamo in Italia perché noi, stando là, vediamo tutti i difetti che abbiamo, loro, invece, vedono le cose in maniera diversa.
Al presidente nazionale Sebastiano Favero abbiamo chiesto come ha trovato le sezioni di Montréal e Laval.
«Abbiamo trovato – afferma – una buona situazione. Grossi problemi non ce ne sono a parte quello del numero perché con il Covid sono stati un po’ falcidiati come tutti noi. Hanno un’età abbastanza elevata ma diciamo che le sezioni funzionano tutte bene. L’importante è che tengano duro e che vadano avanti e non si lascino fermare dal Covid e riprendano le attività che hanno sempre svolto. È di quello che hanno bisogno, devono avere la sicurezza di ritrovarsi come facevano prima».
Ci può fare un ritratto dell’ANA e dei suoi obiettivi?
«L’Associazione Nazionale Alpini – spiega l’ing. Favero nato a Possagno (Treviso) – nasce nel 1919, quindi in questo momento ha 103 anni. È un’associazione combattentistica e d’arma nata alla fine della Prima Guerra mondiale per supportare, come primo obiettivo, gli alpini che avevano combattuto in quella guerra. Dunque, una specie di associazione di mutuo soccorso per poi propagandare quelle che erano e sono le caratteristiche fondamentali degli alpini strettamente legate all’ambiente montano.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, ma soprattutto dopo la tragedia del Vajont (cedimento di diga nel 1963 a causa di una frana che provocò in Veneto quasi 2000 morti), c’è stata una modifica allo statuto con l’introduzione all’art. 2, quello relativo agli scopi associativi, dei principi di solidarietà e di protezione civile. Da quel momento l’ANA è diventata una dei capostipiti della Protezione Civile.
Dal terremoto del Friuli (1976) dopo il quale è nata la Protezione Civile, gli Alpini – prosegue il presidente – sono sempre stati in prima fila. Basti ricordare che in Friuli, subito dopo il terremoto, sono stati costituiti 11 cantieri di lavoro che comprendevano la partecipazione di tutte le 80 sezioni italiane e delle 30 sezioni estere. Il Governo degli Stati Uniti, e il suo parlamento, avevano destinato, per la ricostruzione del Friuli, qualcosa come 31 miliardi di lire (circa 16 milioni di euro) all’Associazione Nazionale Alpini per fare degli interventi rivolti soprattutto agli anziani, come delle case di riposo, e ai bambini, delle scuole. Gli Alpini hanno fatto questo intervento in 4 anni e poi hanno anche restituito una piccola somma che era rimasta a dimostrazione del grande rapporto di fiducia che li caratterizza.
Oggi in Italia, ma anche all’estero, il cappello alpino vuole dire proprio questo: fiducia. La gente ci vede con simpatia perché sa che quando ci impegniamo le cose le facciamo e le portiamo a termine. E credo che tale fiducia sia stata importantissima durante questa fase del Covid quando gli Alpini sono stati in prima linea, hanno messo da parte la paura e si sono messi al servizio della popolazione e delle vaccinazioni.
Da quanto ho sentito in questi giorni anche gli Alpini del Nord America si sono impegnati concretamente per prodigarsi e portare il loro aiuto concreto in rapporto alle loro specifiche realtà. Ecco i valori alpini sono proprio questi: la solidarietà, la capacità di condividere, di stare insieme, la capacità di farlo senza pretendere e chiedere niente in cambio ma sapendo sempre dare, la capacità, soprattutto per gli Alpini stabilitisi poi all’estero, di integrarsi e di sviluppare solidi rapporti umani. Questi sono i nostri valori “forti”, i valori che appartengono anche alle nostre sezioni all’estero».
Esiste un ricambio generazionale oppure è un problema, soprattutto all’estero…
«Sicuramente in Italia il problema è meno impellente che per le sezioni all’estero. Ma anche qui – afferma il presidente Favero – esistono delle contraddizioni perché abbiamo alcune realtà estere dove stanno sorgendo nuovi gruppi perché si verifica una presenza di emigrazione italiana più consistente. Ma certamente all’estero il serbatoio è molto più contenuto. L’ANA, tra sezioni italiane ed estere, ha come soci effettivi, cioè soci che hanno fatto il servizio militare, circa 250.000 persone mentre quasi 80.000 sono aggregate come “Amici degli Alpini”. Negli ultimi anni abbiamo dato molto più spazio a questa categoria che ha però una procedura di entrata particolare nel senso che gli “Amici”, per essere tali devono essere iscritti da almeno due anni, devono condividere i nostri valori e devono essere in qualche modo ‘certificati” dai presidenti di sezione delle loro sezioni. Pur non potendo portare il cappello alpino come elemento distintivo possono però partecipare alle nostre riunioni, ai vari momenti di incontro e alle sfilate.
Per le sezioni all’estero c’è stato un passaggio ulteriore perché abbiamo permesso che al loro interno solo il capogruppo o presidente sia un Alpino “regolare” mentre il resto del consiglio può essere formato anche solo dagli “Amici degli alpini”, proprio per dare più linfa alle sezioni.
Una preoccupazione che mi è stata segnalata è quella relativa alla lingua perché le seconde o terze generazioni parlano sempre meno in italiano con il rischio che certi nostri valori non siano capiti o si perdano per strada. Abbiamo ipotizzato delle soluzioni tra cui quella della creazione di un’APP in italiano e inglese che potrà essere utilizzata anche e soprattutto dalle sezioni estere per far capire meglio cos’è l’ANA e quali sono i suoi obiettivi perché per aderire ad un’associazione bisogna conoscere la sua storia».
La penna sul cappello
“Sul cappello, sul cappello che noi portiamo
c’è una lunga, c’è una lunga penna nera …”
È l’inizio della celebre canzone “Sul cappello” che gli Alpini cantavano durante la Prima Guerra Mondiale. E, in effetti, il cappello distintivo degli Alpini porta una penna ma che non è sempre la stessa, come spiegato dal presidente dell’ANA Sebastiano Favero: “Per i soldati e i sottufficiali è di corvo (nera); per gli ufficiali inferiori è d’aquila (marrone) e per quelli superiori è d’oca (bianca)”.